GIORNO #30 (una settimana dopo)

Pensavate mi fossi scordata di voi, eh?

In effetti, un po’ sì. Credevo di avervi lasciato con pensieri di zucchero e cannella, finalmente riconciliata con il mio ego condannato a lavorare per beneficenza e con il mondo e invece ho lasciato tutti con il fiato sospeso (COME NO, FIDATI!) blaterando di un fumoso “domani” di cui poi non ho narrato. Sono stati giorni intensi per i miei nervi e ho preferito dare la precedenza al recupero di me stessa, dei pezzi che mi sono persa per strada da un po’ di tempo a questa parte.

Ci risiamo, questa attacca con la lagna sulle difficoltà della vita: ma chissenefrega, dirà qualche voce nel coro (fuori ci sto già io). Non proprio, voglio scendere un po’ più del solito nel personale per dirvela proprio tutta e, citando la mia insegnante di dizione, non darvi delle risposte ma farvi uscire di qui con nuove domande.

Che c’entra la dizione? Col copywriting, niente. Perché, il trapano? WINDOWS? Problemi??

Andiamo avanti.

Dopo anni di improvvisi mal-di-pancia-ammazza-gente supportati da nessuna evidenza medica, ripetute (e presunte) avvisaglie di infarto risoltesi poi con blande pasticchette alle erbe e millimetri di denti persi grazie ad intense sessioni di bruxismo notturno ho finalmente preso in mano (colta anche lei da episodi di tremarella) la situazione e sono andata da una psicoterapeuta per capirci qualcosa. Abbiamo lungamente parlato del lavoro come centro di tensione negativa, specie per uno spirito naturalmente votato all’autonomia come il mio (parole della dottoressa) e mi ha davvero tolto un quintale di ansia dal groppone percepire la sua empatia su questioni delicate come l’abbandono di un lavoro amato ma poco retribuito e di uno al contrario ben pagato ma che mi stava logorando.

Cose per cui mi sono sentita scema, irresponsabile e schizzinosa, a seconda dei momenti… Ma soprattutto, cose per le quali sono stata severamente giudicata solo da una persona: me stessa. Perché, diciamocelo, intorno possono cantarcela come gli pare ma a quelli come noi se hanno una certa visione non li smuovi di un millimetro!… Almeno fin quando lo stress non arriva ad un punto tale che credi di aver perso la brocca. A quel punto ti tocca andare da un’esperta in materia per farti dire che, no, non hai perso la brocca, ti sei solo tenuta per tanto tempo dentro un nervoso e un senso di colpa enormi che però nessuno ti aveva assegnato e che quindi con un po’ d’impegno non solo puoi tornare la stessa di prima, puoi anche migliorare. Come? Andando avanti, affiancando alla tensione negativa (ineliminabile completamente dalla vita) una tensione positiva.

Detto così sembra l’uovo di Colombo ma quante cose appaiono semplici da fuori?

Ho studiato tanto e a lungo, mi merito un lavoro. Ho una formazione pubblicitaria, lavorerò in agenzia. Lavoro bene, mi pagheranno bene.

Crolli di paradigmi di questo genere, supportati da poche ma buone esperienze ben assestate tra le costole, possono farti maturare una grande sfiducia nei confronti (apparentemente) del mondo circostante e (veramente) di te stessa, portandoti ad adottare un’etichetta per tutte le stagioni della tua vita: quella di fallita.

Falliscono le aziende, non le persone, mi ammonisce periodicamente una persona a me molto cara; col senno di poi posso dire che, in effetti, ha ragione.

Non potevo saltare la premessa filosofica di quanto poi si è verificato.

7 pensieri su “GIORNO #30 (una settimana dopo)

  1. Grazie per aver condiviso la tua esperienza, l’ho trovata e letta per caso oggi, in un periodo in cui sto affrontando delle emozioni simili alle tue, per molti aspetti.
    In bocca al lupo!

    • Ciao Margherita, crepi!
      Manca ancora una piccola parte dell’epilogo, cercherò di pubblicarla al più presto così avrai tuuuuuutto il quadro completo della situazione. E se hai riflessioni/sfoghi/altro da esternare, mi trovi qui 😉

  2. Davvero interessante come storia! Inizi uno stage, apri un blog dove racconti cosa è e come funziona una piccola azienda odierna (capi strambi, poca organizzazione etc), e alla fine, come ogni eroe sfortunato, perdi la sfida con il male (il capo non ama le critiche) ma esci a testa alta, da vincitore morale. Non fosse che il periodo è davvero affamato, sarebbe geniale! Purtroppo siamo costretti a ingoiare tanti rospi se vogliamo lavorare, anzi, se vogliamo avere un benché minimo reddito. Ho provato a pagare l’affitto cone le vittorie morali, il padrone stava già scrivendo l’ingiunzione di sfratto. Spero che almeno tu non abbia di questi problemi! Ciao

    • Ciao!
      Al momento no, non ho un affitto da pagare. Sono però prossima ad un trasferimento e avrò varie bollette e nemmeno loro aspettano i comodi dei miei attuali clienti.
      Vivendo in due ci si metterà una pezza ma l’uscita di soldi “altrui” è altrettanto fastidiosa per il nostro eroe. 😉
      Capisco l’esigenza del “benché minimo reddito”, mi chiedo però se a lungo andare funzioni oppure non sia proprio questo nostro ingoiare rospi all’infinito che contribuisce a non far cambiare mai le cose…
      Non ho una risposta valida in assoluto in merito, soltanto una seconda parte del giorno 30 che potrà illustrarti quella che ho scelto a livello personale. Se ti va la trovi qui: https://plus.google.com/104160841567863874918/posts/2KoSVYe9mFG
      Grazie per il tuo commento e in bocca al lupo per tutto!

  3. L’ho scoperto tardi, tardissimo, questo blog. Ho recuperato i giorni perduti leggendolo tutto in una giornata di ozio estivo; mi sono talmente appassionata che questo finale è arrivato troppo presto. Non so neanche se la storia è vera, spero comunque che dopo oltre un anno tutti i dolori della giovane Werther siano passati. Ad ogni modo, la mia filosofia è semplice: finché c’è il compagno che paga la casa, le bollette etc., è giusto andare avanti! Quando i soldi di tutti saranno finiti, allora sarà tempo di cercare un lavoro “normale”… In bocca al lupo!

    • Ciao Chiara, grazie per aver dedicato il tuo ozio alla lettura di questo racconto. La storia è verissima, ma non penso sia speciale; assomiglia a quella di molti altri, l’unico tassello in più è che ho voluto condividerla senza troppe censure. Il motivo? Lanciare una ciambella a chi sente di nuotare da solo in mare aperto (siamo stati e siamo ancora in tanti).
      Psicologicamente parlando i dolori si sono molto attenuati, lavorativamente devo ancora capirlo, dopo quasi due anni di partita IVA sul groppone.
      Impossibile per l’orgogliosa copy andare a traino totale del proprio compagno. 😀 Anche se c’è un certo divario tra uno stipendio da lavoro dipendente e uno da autonoma, cerchiamo di fare 50 e 50 per le bollette, così come per la spesa settimanale e come è successo per (udite udite!) il ricevimento di nozze. La casa è una mansarda ammobiliata concessa gentilmente in prestito, e questo crea mal di pancia anche al contratto a tempo indeterminato, ma non sarà per sempre (speriamo).
      Così come il desiderio caparbio di autonomia, che di fronte ad altri obiettivi di vita passerà forse in secondo piano, senza aspettare che si prosciughino i fondi.
      Qui potrebbe partire un altro blog fantascientifico su partite IVA che cercano di costruirsi un futuro, ma me lo risparmio. 😉
      Crepi il lupo e ancora grazie!

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